CASERTA – Non ricordo quand’è stata l’ultima volta che mi sono commosso a teatro. Forse perché è successo troppo tempo fa o, più probabilmente, perché non è mai successo. Però, quando andato in scena domenica scorsa, 16 settembre, presso l’Aperia della Reggia mi ha lasciato senza fiato. E non trovo modo migliore per parlare del Cyrano de Bergerac della Compagnia Controtempo Theatre – per la regia di Roberto Adinolfi – che in questo modo.

La storia è ben nota, Edmond Rostand ha riempito almeno una volta i sogni di ogni innamorato che viva da questa parte del globo, ma l’umanità della rappresentazione ha superato ogni aspettativa.

A primo impatto non c’è granché in scena. Un palco troppo piccolo per lo spazio immenso dell’Aperia, volutamente rustico, abbozzato, con tutto il necessario per la rappresentazione lì a portata di mano. Non ci sono quinte, non ci sono ingressi né uscite: al centro c’è il palco e, tutt’intorno, ci sono gli attori che si muovono in quanto attori. Sul palco, ci sono gli attori divenuti personaggi.

Cyrano de Bergerac è la tragedia del non essere abbastanza, del non sentirsi abbastanza. È una lezione dura e sconfinata, ma dolce e tremenda come solo l’amore può essere. È la più dolce delle poesie e la più forte delle morse al cuore, l’amore più grande e la più grande pena d’amore.

E lo spettacolo è stato così, né più né meno. Lungo la trama del racconto originale di Rostand si interseca una storia fuori scena di un amore della stessa misura di quello di Cyrano, tanto passionale quanto nascosto, di quelli che consuma dentro senza mezze misure.

La soluzione di Roberto Adinolfi porta il dramma dal copione alla platea, dalla finzione alla verità. Scava dentro il pubblico, interroga gli spettatori alla ricerca di novelli Cyrano nascosti tra i posti in platea. Novelli o antichi Cyrano, memori ognuno della sua storia.

Il taglio operato dal riadattamento della Compagnia Controtempo Theatre è abbastanza deciso rispetto a quello del copione originale, ma non mette da parte nessuna delle parti principali del testo. Il cuore dell’opera di Rostand è salvaguardato nella sua interezza, a vantaggio del continuo rapporto dentro/fuori scena che sottolinea il dramma senza mai renderlo secondario.

La scena è appena abbozzata ma fa il suo dovere, splenditi i costumi. Straordinari gli attori che riescono a cogliere e trasferire il senso di ogni singola battuta senza mai essere scontati, nemmeno quando interpretano loro stessi fuori dalla scena.

Uno spettacolo da rivedere. Presto, magari nuovamente in Aperia.

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